Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Iniziamo oggi un nuovo ciclo di catechesi, dedicato a un tema urgente e decisivo per la vita cristiana: la passione per l’evangelizzazione, cioè lo zelo apostolico. Si tratta di una dimensione vitale per la Chiesa: la comunità dei discepoli di Gesù nasce infatti apostolica, nasce missionaria, non proselitista e dall’inizio dovevamo distinguere questo: essere missionario, essere apostolico, evangelizzare non è lo stesso di fare proselitismo, niente a che vedere una cosa con l’altra. Si tratta di una dimensione vitale per la Chiesa, la comunità dei discepoli di Gesù nasce apostolica e missionaria. Lo Spirito Santo la plasma in uscita – la Chiesa in uscita, che esce – , perché non sia ripiegata su sé stessa, ma estroversa, testimone contagiosa di Gesù la fede si contagia, pure -, protesa a irradiare la sua luce fino agli estremi confini della terra. Può succedere, però, che l’ardore apostolico, il desiderio di raggiungere gli altri con il buon annuncio del Vangelo, diminuisca, divenga tiepido. A volte sembra eclissarsi, sono cristiani chiusi, non pensano agli altri. Ma quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’evangelizzazione, l’orizzonte dell’annuncio, si ammala: si chiude in sé stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. Senza zelo apostolico, la fede appassisce. La missione è invece l’ossigeno della vita cristiana: la tonifica e la purifica. Intraprendiamo allora un percorso alla riscoperta della passione evangelizzatrice, iniziando dalle Scritture e dall’insegnamento della Chiesa, per attingere alle fonti lo zelo apostolico. Poi ci accosteremo ad alcune sorgenti vive, ad alcuni testimoni che hanno riacceso nella Chiesa la passione per il Vangelo, perché ci aiutino a ravvivare il fuoco che lo Spirito Santo vuole far ardere sempre in noi.
E oggi vorrei iniziare da un episodio evangelico in qualche modo emblematico lo abbiamo sentito: la chiamata dell’apostolo Matteo, e lui stesso la racconta nel suo Vangelo, nel brano che abbiamo ascoltato (cfr 9,9-13).
Tutto inizia da Gesù, il quale “vede” – dice il testo – «un uomo». In pochi vedevano Matteo così com’era: lo conoscevano come colui che stava «seduto al banco delle imposte» (v. 9). Era infatti esattore delle tasse: uno, cioè, che riscuoteva i tributi per conto dell’impero romano che occupava la Palestina. In altre parole, era un collaborazionista, un traditore del popolo. Possiamo immaginare il disprezzo che la gente provava per lui: era un “pubblicano”, così si chiamava. Ma, agli occhi di Gesù, Matteo è un uomo, con le sue miserie e la sua grandezza. State attenti a questo: Gesù non si ferma agli aggettivi, Gesù sempre cerca il sostantivo. “Questo è un peccatore, questo è un tale per quale…” sono degli aggettivi: Gesù va alla persona, al cuore, questa è una persona, questo è un uomo, questa è una donna, Gesù va alla sostanza, al sostantivo, mai all’aggettivo, lascia perdere gli aggettivi. E mentre tra Matteo e la sua gente c’è distanza – perché loro vedevano l’aggettivo, “pubblicano” – , Gesù si avvicina a lui, perché ogni uomo è amato da Dio; “Anche questo disgraziato?”. Sì, anche questo disgraziato, anzi Lui è venuto per questo disgraziato, lo dice il Vangelo: “Io sono venuto per i peccatori, non per i giusti”. Questo sguardo di Gesù che è bellissimo, che vede l’altro, chiunque sia, come destinatario di amore, è l’inizio della passione evangelizzatrice. Tutto parte da questo sguardo, che impariamo da Gesù.
Possiamo chiederci: com’è il nostro sguardo verso gli altri? Quante volte ne vediamo i difetti e non le necessità; quante volte etichettiamo le persone per ciò che fanno o ciò che pensano! Anche come cristiani ci diciamo: è dei nostri o non è dei nostri? Questo non è lo sguardo di Gesù: Lui guarda sempre ciascuno con misericordia anzi con predilezione. E i cristiani sono chiamati a fare come Cristo, guardando come Lui specialmente i cosiddetti “lontani”. Infatti, il racconto della chiamata di Matteo si conclude con Gesù che dice: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (v. 13). E se ognuno di noi si sente giusto, Gesù è lontano, Lui si avvicina ai nostri limiti e alle nostre miserie, per guarirci.
Dunque, tutto inizia dallo sguardo di Gesù “Vide un uomo”, Matteo. A questo segue – secondo passaggio – un movimento. Prima lo sguardo, Gesù vide, poi il secondo passaggio, il movimento. Matteo era seduto al banco delle imposte; Gesù gli disse: «Seguimi». Ed egli «si alzò e lo seguì» (v. 9). Notiamo che il testo sottolinea che “si alzò”. Perché è tanto importante questo dettaglio? Perché a quei tempi chi era seduto aveva autorità sugli altri, che stavano in piedi davanti a lui per ascoltarlo o, come in quel caso, per pagare il tributo. Chi stava seduto, insomma, aveva potere. La prima cosa che fa Gesù è staccare Matteo dal potere: dallo stare seduto a ricevere gli altri lo pone in movimento verso gli altri, non riceve, no: va agli altri; gli fa lasciare una posizione di supremazia per metterlo alla pari con i fratelli e aprirgli gli orizzonti del servizio. Questo fa e questo è fondamentale per i cristiani: noi discepoli di Gesù, noi Chiesa, stiamo seduti aspettando che la gente venga o sappiamo alzarci, metterci in cammino con gli altri, cercare gli altri? È una posizione non cristiana dire: “Ma che vengano, io sono qui, che vengano.” No, vai tu a cercarli, fai tu il primo passo.
Uno sguardo – Gesù vide – , un movimento – si alza – e terzo, una meta. Dopo essersi alzato e aver seguito Gesù, dove andrà Matteo? Potremmo immaginare che, cambiata la vita di quell’uomo, il Maestro lo conduca verso nuovi incontri, nuove esperienze spirituali. No, o almeno non subito. Per prima cosa Gesù va a casa sua; lì Matteo gli prepara «un grande banchetto», a cui «partecipa una folla numerosa di pubblicani» (Lc 5,20) cioè gente come lui. Matteo torna nel suo ambiente, ma ci torna cambiato e con Gesù. Il suo zelo apostolico non comincia in un luogo nuovo, puro, un luogo ideale, lontano, ma lì, comincia dove vive, con la gente che conosce. Ecco il messaggio per noi: non dobbiamo attendere di essere perfetti e di aver fatto un lungo cammino dietro a Gesù per testimoniarlo; il nostro annuncio comincia oggi, lì dove viviamo. E non comincia cercando di convincere gli altri, convincere no: ma testimoniando ogni giorno la bellezza dell’Amore che ci ha guardati e ci ha rialzati e sarà questa bellezza, comunicare questa bellezza a convincere la gente, non comunicare noi, ma lo stesso Signore. Noi siamo quelli che annunciano il Signore, non annunciamo noi stessi, né annunciamo un partito politico, una ideologia, no: annunciamo Gesù. Bisogna mettere in contatto Gesù con la gente, senza convincerli, ma lasciare che il Signore convinca. Come infatti ci ha insegnato Papa Benedetto, «la Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per attrazione» (Omelia nella Messa inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Aparecida, 13 maggio 2007). Non dimenticare questo: quando voi vedrete dei cristiani che fanno proselitismo, che ti fanno una lista di gente per venire… questi non sono cristiani, sono pagani travestiti da cristiani ma il cuore è pagano. La Chiesa cresce non per proselitismo, cresce per attrazione. Una volta ricordo che in ospedale a Buenos Aires sono andate via le suore che lavoravano lì perché erano poche e non potevano portare avanti l’ospedale ed è venuta una comunità di suore dalla Corea e sono arrivate, pensiamo lunedì per esempio, non ricordo il giorno. Hanno preso possesso della casa delle suore dell’ospedale e il martedì sono scese a visitare gli ammalati dell’ospedale, ma non parlavano una parola di spagnolo, soltanto parlavano il coreano e gli ammalati erano felici, perché commentavano: “Brave queste suore, brave, brave” – Ma cosa ti ha detto la suora? “Niente, ma con lo sguardo mi ha parlato, hanno comunicato Gesù”. Non comunicare se stessi, ma con lo sguardo, con i gesti, comunicare Gesù. Questa è l’attrazione, il contrario del proselitismo.
Questa testimonianza attraente, questa testimonianza gioiosa è la meta a cui ci porta Gesù con il suo sguardo di amore e con il movimento di uscita che il suo Spirito suscita nel cuore. E noi possiamo pensare se il nostro sguardo assomiglia a quello di Gesù per attrarre la gente, per avvicinare alla Chiesa. Pensiamo questo.