“Religiosi e religiose: nella precarietà, debolezza e fragilità siate sempre evengelici”. Il Vescovo nella Giornata della Vita Consacrata

(testo integrale) Carissimi consacrati, oggi si parla sempre più di precarietà. Noi cristiani purtroppo abbiamo rimosso la precarietà soprattutto quando pensiamo alla Chiesa e alle realtà spirituali da noi intraprese. Ci sentiamo garantiti…

Omelia nella Festa della Presentazione del Signore
Giornata della Vita Consacrata
Martedì 2 febbraio 2010
Cattedrale di Fano

La festa della Presentazione di Gesù al tempio può essere accostata da due diverse ma convergenti angolature: da parte di Dio e da parte di Maria.

Da parte di Dio

Si tratta di una riappropriazione di ciò che era suo e che, nella sua essenza, gli apparteneva da sempre. Gesù infatti è uomo e Dio. Il figlio che Maria ha dato alla luce è il Figlio di Dio, divenuto uomo e incarnatosi nel grembo della Vergine per opera dello Spirito Santo.
Lo stesso assoggettamento alle prescrizioni della legge (secondo cui ogni primogenito degli uomini e del bestiame doveva essere consacrata a Dio) è in realtà l’occasione per rivelare la vera natura e la missione di Gesù. Il vecchio Simeone e la profetessa Anna, che attendevano con fede e con perseveranza la venuta del messia, il Salvatore, riconoscono in quel Gesù che viene presentato al tempio la “salvezza di Dio”, la “luce per illuminare le genti”, la “gloria del popolo d’Israele”. Ma quale salvezza? Quale luce e quale gloria?
La lettera agli Ebrei ci aiuta ad entrare nel mistero della condiscendenza divina, che è poi il mistero dell’incarnazione. Nell’umanità del Figlio di Dio, Gesù ha assunto pienamente la nostra condizione umana, fuorché il peccato, e per questa ragione, avendo conosciuto la fragilità, la sofferenza, le prove e le debolezze alle quali è sottoposta la nostra esistenza, Egli è in grado di provare com-passione per noi, di venirci incontro, e di prendersi cura di noi: “Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,18)
Ma Gesù è anche luce che penetra nelle profondità del nostro animo, scandagliandolo e obbligandolo a decidersi o meno per Lui, e cioè ad optare per la risurrezione o per la rovina.

Da parte di Maria

La presentazione di Gesù al tempio è un evento già soffuso di sofferenza e di dolore, almeno per Maria. Nel ridonare a Dio quel Figlio da sempre generato nel seno della Trinità, Maria rinunzia a una parte di se stessa, e lo fa in vista di un disegno di salvezza che la sorpassa. Con questa docile sottomissione al piano di Dio, Maria inizia il suo personale itinerario di “dis-appropriazione” del Figlio che aveva dato alla luce.
In ogni Eucaristia noi ripetiamo il gesto di Maria: lì, ogni volta daccapo, offriamo a Dio il suo Figlio affinché ce lo ridoni come presenza che risana, che libera e che salva.
Carissimi consacrati, oggi si parla sempre più di precarietà. Noi cristiani purtroppo abbiamo rimosso la precarietà soprattutto quando pensiamo alla Chiesa e alle realtà spirituali da noi intraprese. Ci sentiamo garantiti dalla parola di Gesù: Non prevalebunt (Mt 16,18), interpretandola in modo illegittimo. Gesù non toglieva la precarietà alla comunità cristiana, ma assicurava solo che l’inferno non avrebbe avuto l’ultima parola sulla Chiesa di Dio.
In questa Chiesa le comunità cristiane, comprese quelle religiose, finiscono sempre più per riconoscersi fragili, deboli, precarie… Ma in verità questa è la situazione normale dei cristiani nel mondo. Gesù aveva indicato i discepoli come sale, luce, città posta sopra un monte (Mt 5,13-16), aveva letto la dinamica del Regno come quella del lievito nella pasta (Mt 13,33) e aveva chiamato la sua comunità “piccolo gregge”.
Essere una piccola realtà, essere minoranza non significa essere insignificanti, così come essere deboli, fragili, non significa essere spiritualmente decadenti! Oggi noi vediamo molte comunità religiose “precarie”, povere di uomini o di donne, poco efficienti e poco visibili, incapaci di imporsi e di essere una presenza che si fa sentire. Eppure, spesso, minoranze creative e convinte hanno saputo cambiare la dinamica della storia.
Ciò che conta è che le comunità cristiane – povere o deboli, oppure numerose e forti – siano evangeliche, cioè vivano secondo il Vangelo, lo testimonino, siano segni di narrazione di Gesù Cristo e del comandamento nuovo lasciato loro da Gesù (Gv 13,34). L’identità cristiana non dipende da una visibilità ostentata, mediatica, ricercata a ogni costo in modo che tutti siano obbligati a constatarla. La visibilità dei cristiani, se è conforme al Vangelo, è una visibilità epifanica, sacramentale, significativa, capace cioè di “fare segno”: indicare il mistero di Cristo.

Carisma, utilità, trasparenza della vita consacrata: orientamenti e fragilità

• Concentrarsi sulle cose fondamentali, centrarsi su Dio, cioè, a partire dall’esperienza di Lui e da un discernimento orante
• Funzione profetica: testimonianza dell’assoluto di Dio e dei valori del vangelo; comunicare e proclamare l’esperienza di Dio e le sue esigenze. Esodo, ossia recidere legami, vivere in povertà e semplicità.
• Successo dei servizi e perdita di fascino dei carismi (nella nostra società molti valutano con favore e accedono volentieri ai servizi, educativi o assistenziali, erogati dagli istituti religiosi). Un problema rilevante, che si diffonde con il rarefarsi delle nuove vocazioni, si pone quando per mantenere in vita scuole, servizi di assistenza, ecc., gli istituti devono assumere molto personale laico, per cui il religioso, o la religiosa, in concreto diventa il manager di una struttura; i problemi amministrativi e istituzionali diventano assorbenti, senza che questo sia stato previsto e desiderato nell’originaria vocazione, dalla quale, anzi, possono sentire la distanza, o anche la dissonanza, quasi mettendo in secondo piano in concreto l’essere consacrato.

Vorrei concludere con le parole di Benedetto XVI: “Con il loro esempio proclamano a un mondo spesso disorientato, ma in realtà sempre più alla ricerca di un senso, che Dio è il Signore dell’esistenza. Scegliendo l’obbedienza, la povertà e la castità per il Regno dei cieli, mostrano che ogni attaccamento ed amore alle cose e alle persone è incapace di saziare definitivamente il cuore; che l’esistenza terrena è un’attesa più o meno lunga dell’incontro ‘faccia a faccia’ con lo Sposo divino”. E quando le “difficoltà della vita” e le “molteplici sfide dell’epoca moderna” rendono opaco il cristallo di una vocazione religiosa che la patina della fatica, dello scoraggiamento, cari consacrati – ha detto il Papa – siate certi che, poiché la vita consacrata è un “dono divino”, “è in primo luogo il Signore a condurla a buon fine secondo i suoi progetti”. Innamorarsi di Dio è il più grande dei romanzi; cercarLo, la più grande delle avventure; trovarLo, la più grande delle imprese. La vocazione alla vita consacrata non è che la storia “sempre antica e sempre nuova” dell’invito di Dio ad un’anima, e della conseguente risposta da parte di questa.

+ Armando Trasarti
Vescovo