“Non vi chiamo più servi ma amici”. A sessant’anni dal giorno della mia Ordinazione sacerdotale sento ancora risuonare nel mio intimo queste parole di Gesù…”. Lo ha confidato Benedetto XVI, nella sua omelia: le parole evangeliche pronunciate dal cardinale Faulhaber nel giorno della sua ordinazione, sono impresse nella sua mente:
“’Non più servi ma amici’: io sapevo e avvertivo che, in quel momento, questa non era solo una parola ‘cerimoniale’, ed era anche più di una citazione della Sacra Scrittura”.
“Ciò che avveniva in quel momento era ancora qualcosa di più”, ha osservato il Papa:
“Egli mi chiama amico. Mi accoglie nella cerchia di coloro ai quali si era rivolto nel Cenacolo”.
“Nella cerchia di coloro che Egli conosce in modo del tutto particolare”:
“Mi conferisce la facoltà, che quasi mette paura, di fare ciò che solo Egli, il Figlio di Dio, può dire e fare legittimamente: Io ti perdono i tuoi peccati”.
Il Signore “si affida a me”, ha proseguito il Santo Padre:
“Non siete più servi ma amici”: questa è un’affermazione che reca una grande gioia interiore e che, al contempo, nella sua grandezza, può far venire i brividi lungo i decenni, con tutte le esperienze della propria debolezza e della sua inesauribile bontà”.
Nell’amicizia con Gesù “è racchiuso l’intero programma di una vita sacerdotale.” Ma “che cosa è veramente l’amicizia?”, si è chiesto Benedetto XVI:
“L’amicizia è una comunione del pensare e del volere”.
Ma “oltre alla comunione di pensiero e di volontà” – ha aggiunto il Papa – il Signore menziona un terzo, nuovo elemento:
“Egli dà la sua vita per noi. Signore, aiutami a conoscerti sempre meglio! Aiutami ad essere sempre più una cosa sola con la tua volontà! Aiutami a vivere la mia vita non per me stesso, ma a viverla insieme con Te per gli altri! Aiutami a diventare sempre di più Tuo amico!”.
E, “il primo compito dato ai discepoli – agli amici – ha ricordato il Santo Padre – è quello di mettersi in cammino, di uscire da se stessi e di andare verso gli altri”:
“Vogliamo seguire il Dio che si mette in cammino, superando la pigrizia di rimanere adagiati su noi stessi, affinché Egli stesso possa entrare nel mondo”.
Ma Gesù chiede anche di portare frutto, “un frutto che rimanga!”, ha esclamato Benedetto XVI, richiamando l’immagine dell’uva, frutto della vite, da cui si ottiene il vino:
“Perché possa maturare uva buona, occorre il sole ma anche la pioggia, il giorno e la notte. Perché maturi un vino pregiato, c’è bisogno della pigiatura, ci vuole la pazienza della fermentazione, la cura attenta che serve ai processi di maturazione”.
Non è questa – si è domandato Benedetto XVI – “un’immagine della vita umana, e in modo del tutto particolare della nostra vita di sacerdoti?”:
“Volgendo indietro lo sguardo possiamo ringraziare Dio per entrambe le cose: per le difficoltà e per le gioie, per le ore buie e per quelle felici. In entrambe riconosciamo la continua presenza del suo amore, che sempre di nuovo ci porta e ci sopporta”.
Il pensiero del Papa si è poi rivolto nell’odierna solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo alle autorità ecclesiali e civili, agli ambasciatori, ai religiosi e fedeli laici assiepati nella Basilica, porgendo un saluto particolare a Bartolomeo I, il Patriarca ortodosso ecumenico e alla delegazione inviata a Roma.
Quindi prima di imporre loro il Pallio – ricordiamo – una stola di lana bianca, con ricamate piccole croci, simbolo del gregge di Cristo, Benedetto XVI si è rivolto ai nuovi arcivescovi, spiegando che i Palli – che vengono benedetti nella festa di Sant’Agnese – richiamano “il giogo dolce di Cristo” che viene posto sulle spalle:
“È un giogo di amicizia e perciò un ‘giogo dolce’, ma proprio per questo anche un giogo che esige e che plasma. È il giogo della sua volontà, che è una volontà di verità e di amore”.
Pallio che “significa molto concretamente – ha sottolineato Benedetto XVI – anche la comunione del Pastori della Chiesa con Pietro e con i suoi successori”…
“…significa che noi dobbiamo essere Pastori per l’unità e nell’unità e che solo nell’unità di cui Pietro è simbolo guidiamo veramente verso Cristo”.
Infine all’Angelus prima l’omaggio del Papa alla sua diocesi:
“O Roma felix!” si canta, oggi, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, Patroni di questa Città”.
Poi il grazie di Benedetto XVI in questo giorno speciale per lui e per tutta la Chiesa:
“Sono grato al Signore per la sua chiamata e per il ministero affidatomi, e ringrazio coloro che, in questa circostanza, mi hanno manifestato la loro vicinanza e sostengono la mia missione con la preghiera, che da ogni comunità ecclesiale sale incessantemente a Dio, traducendosi in adorazione a Cristo Eucaristia per accrescere la forza e la libertà di annunciare il Vangelo”.