Editoriale. Quattro anni di servizio episcopale: “Nolite timere”

Editoriale. 21 ottobre 2007 – 21 ottobre 2011. Quattro anni di ministero episcopale nella Diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola. Una domenica pomeriggio, quel 21 ottobre di quattro anni or sono don Armando (così come ha chiesto di farsi chiamare sin dall’inizio) veniva accolto nella chiesa di Fano. Nel percorrere lo spazio di strada tra Porta Maggiore e la Cattedrale il vescovo veniva salutato con festa dai giovani, dagli scout. A quest’ultimi il neo vescovo rispondeva con il saluto scout, ponendo il pollice sul mignolo: la responsabilità del più forte di proteggere il più debole. Ogni cristiano e’ sotto la protezione di Cristo, del figlio di Dio. Saperlo, prenderne coscienza e vivere di conseguenza rende viva la Chiesa, perché la debolezza non e’ sconfitta, ma salvezza, forza, maturità che si rinnova giorno dopo giorno.
Oggi non si fa più affidamento sulla funzione che la persona ricopre, ma sulla autorevolezza che egli sceglie di assumere vivere, comunicare, contagiare. Lo e’ per un vescovo, un parroco, un politico, un padre di famiglia.

In questa ottica, pertanto, essere vescovi e’ difficile, impegnativo. Accanto allo studio personale del Vescovo, in episcopio, c’e la cappellina con il Santissimo esposto. Un luogo dove il vescovo ama sostare con chi gli fa visita. E’ qui che i vari binomi si incrociano e fondono: gioie e lacrime, speranze e magoni personali, della Diocesi vengono posti, in ginocchio, davanti a Cristo.
Al pari di un padre e di una madre, che spesso non riescono a trovare la soluzione giusta, così anche il vescovo si affida a Dio non nel grigio della barca infranta sugli scogli, ma nel volto luminoso di colui che e’ cosciente di avere su di essa il Cristo che ripete: “Nolite timere” (Non abbiate timore).

Auguri, eccellenza, in questo quarto storico tratto di strada assieme, di navigazione condivisa nelle acque dell’umanità.
Un augurio che e’ sinonimo di compagnia, di cum panis spezzato e mangiato assieme. Una delle sue priorità sono i preti: noi preti dovremmo imparare – e in questo sia un costante sprone – ad attivare la fantasia creativa dei laici, a saper suscitare quell’ansia missionaria nelle coppie di sposi, nei genitori, negli educatori, nei catechisti per far nascere una pastorale di adulti appassionati, senza rimanere attanagliati ad una pastorale puerocentrica. Sara’ la sfida principale, prioritaria. Da qui si misurerà il polso della pastorale che le parrocchie sceglieranno, o meno, di intraprendere con coraggio.
Quello stesso coraggio che Lei, in questi mesi, ci sta testimoniando nella lotta al male, comune a tante persone. Grazie anche per questo passo condiviso.

A conclusione del sul primo saluto a Porta Maggiore, in quel 21 ottobre 2007, così chiudeva citando S. Eusebio di Vercelli: “Portate il nostro saluto anche a quelli che sono fuori dalla Chiesa, e che si degnano di nutrire per noi sentimenti d’amore”. Credo che non esista “un dentro e un fuori” semmai un riconoscersi figli e fratelli sulla stessa barca dove al timone c’e Cristo che nel guardarci e afferrarci ci dice: “Non temete”.

G.R.