Non tocca a me fare analisi precise delle cause e dei possibili rimedi; per questo è necessaria la collaborazione di competenze diverse, di tante esperienze.
Credo però che qualcosa si possa dire ugualmente. Una crisi è sempre il segno di una comprensione incompleta delle cose e di una prassi non suffcientemente attenta alla realtà; una crisi chiede sempre risposte creative, che non solo pongano qualche rimedio agli effetti negativi che si sono sperimentati, ma rimuovano le cause e permettano alla società di funzionare meglio, individuare i corti circuiti della nostra prassi per trovare i passaggi utili ad aggiustare e migliorare le cose. Caritas in Veritate di Papa Benedetto XVI ha richiamato la dimensione integrale di ogni vero progresso e ha cercato di reintrodurre nel ciclo dell’analisi economica il tema della carità e del dono: il primato della persona nella costruzione della società e nella economia stessa. Il mondo economico non sta in piedi senza un patrimonio abbondante di fiducia tra le persone e i gruppi sociali; ogni meccanismo di scambio si inceppa se debbo per principio diffidare di ogni persona e difendermi da ogni possibile inganno.
Gli esperti ci dicono che la crisi sta passando; che la produzione sta riprendendo, ma che difficilmente si raggiungerà quel livello di occupazione che era presente prima della crisi stessa. Insomma, avremo un numero alto di disoccupati con poche speranze di trovare lavoro. Vorrei che non ci abituassimo a una prospettiva del genere, ma che facessimo il possibile per individuare un modello di sviluppo che preveda e renda possibile la piena occupazione.
Il motivo è che l’uomo ha bisogno di lavoro non solo a livello economico, ma anche per costruire l’immagine di sé, per avere autostima, soddisfazione, per essere e sentirsi protagonista della vita sociale. All’uomo non basta avere la quantità necessaria di denaro per sopravvivere; ha bisogno di mantenersi con il suo lavoro, di mantenere la sua famiglia, di sperare in un futuro migliore.
Si legge nella vita dell’imperatore Vespasiano che un ingegnere gli aveva proposto uno strumento per sollevare con facilità le colonne fino al Campidoglio dove venivano utilizzate. Vespasiano gratificò l’inventore con un premio, ma non usò lo strumento proposto per non togliere il lavoro a una grande quantità di persone. Era saggezza di governo e non solo per motivi di buon cuore. Forse immaginava i turbamenti che la disoccupazione porta a livello psicologico e anche a livello sociale…
Non sto scegliendo Vespasiano come modello di scelte economiche e tanto meno sto rifiutando le invenzioni tecniche.
Voglio solo dire che nel modello di società che vogliamo costruire, la garanzia di lavoro deve essere contemplata, proprio per non mettere a repentaglio il bene della società stessa. Anche qui l’attenzione etica al bene si mostra per quello che è, un contributo al benessere sociale.
Abbiamo interesse tutti al fatto che le persone vivano serenamente in modo responsabile; abbiamo tutti da perdere in una società che diventi sorda alle necessità delle persone per rincorrere un aumento infinito del prodotto industriale considerato come obiettivo assoluto. Non funziona.
La società funziona solo se coloro che la costituiscono sono umani nei loro sentimenti, nelle loro scelte e comportamenti.
Ci promettono una vita più lunga; ne sono felice. A condizione, però, che questa vita più lunga sia anche una vita più umana. Verso questo obiettivo dobbiamo tendere; a questo ci sollecita l’amara e duratura crisi che stiamo vivendo.
L’elemento umano è decisivo: se l’uomo è intelligente, maturo e responsabile, il potere tecnologico produrrà il bene dell’uomo; ma se l’uomo sarà stupido o immaturo o irresponsabile correremo gravi rischi.