Si è tenuta da venerdì 14 a domenica 16 aprile, al santuario San Giuseppe di Spicello di Terre Roveresche la tre giorni di esercizi spirituali per giovani famiglie organizzata dalla Pastorale Familiare Diocesana.
A proporre alcune riflessioni don Egidio Tittarelli, responsabile Pastorale Familiare di Macerata, che si è soffermato sul brano di Vangelo di Giovanni 11 (la resurrezione di Lazzaro).
“Dobbiamo saper vivere da risorti oggi, non domani, Dio ci vuole con Lui vivi e ci dice come a Lazzaro: Vieni fuori!”. Il brano di Giovanni – ha detto don Egidio – ci suggerisce come Gesù non è estraneo alle nostre vite, alle nostre case, c’è una amicizia e una relazione con le nostre famiglie. Il sacramento del matrimonio ha radici nella presenza di Gesù nelle nostre case come fu presente a casa di Lazzaro, Marta e Maria. Stare è molto di più che passare, Gesù sta con noi non è di passaggio, dunque non possiamo chiuderci in noi stessi ma dobbiamo aprire il cuore a Dio con umiltà chiediamo la presenza del Signore e dei fratelli nelle nostra vita.
Stare con Gesù non è intimismo ma è vivere la comunità, condividere, non si può stare dietro alle pratiche religiose ma bisogna aprirsi alla comunione. La malattia di Lazzaro, raccontata nel Vangelo, non è per la morte ma per la gloria di Dio, così come le prove della vita non sono solo distruzione ma occasione di crescita e maturazione di fede, c’è un altro modo di vivere le nostre difficoltà, con un atteggiamento Pasquale, saggio di speranza. Gesù era un grande amico di Lazzaro eppure di fronte alla chiamata che lo informava della sua condizione non si mette subito in moto ma attende due giorni prima di raggiungere l’amico, questo atteggiamento di Gesù ci ricorda che non possiamo sempre correre, dobbiamo imparare la fatica di “stare dentro ad una amicizia”, ad una comunione, non scappiamo dalla realtà dove siamo dove ci troviamo. La famiglia è la prima nostra chiamata poi ci possiamo dedicare al fare, occorre equilibrio tra lo stare e l’andare! Gesù avrebbe potuto guarire Lazzaro invece interviene tardivamente per far si che gli altri credano. Credere non e` una questione intellettuale ma di vita che ci educa ad affrontare le situazioni del vivere. Non togliamo il senso della vita ai nostri figli sostituendo il desiderio di vita eterna con le cose materiali, con il benessere, il compimento della vita è Dio stesso, è la vita con Lui. Infine don Egidio parlando del rapporto con la morte ha voluto sottolineare come viviamo un trauma se non affrontiamo la morte non il contrario, la resurrezione è il nostro oggi e tutti siamo già risorti con Cristo Gesù che chiede alle nostre comunità di toglie le barriere del sepolcro, le barriere che ci limitano nella vita. Togliere la pietra vuol dire abbattere le tristezze, i limiti, le preoccupazioni per aprirsi alla vita, Gesù ci chiama a venire fuori ma chiede anche a chi ci sta accanto di aiutarci a scioglierci da questi lacci da questi problemi per andare! C’è dunque una azione personale ma anche un aiuto comunitario, la famiglia vive se diventa capace di vivere entrambe queste azioni, sciogliamo a vicenda dunque le bende che ci legano.
Nella seconda parte del ritiro, il diacono Carlo Berloni, direttore con la moglie Nicoletta del servizio di Pastorale Familiare diocesana, si è soffermato sul tema dell’amore come massima forma di amicizia. “Dio ci ha scelti insieme come coppie – ha ricordato Carlo – siamo chiamati da Dio e non solo tra noi, dobbiamo ricordarci di questo. Il nostro cammino di famiglie non può essere fatto da soli, occorre tornare a Lui cercando sempre il bene dell’altro, la sincera ricerca del suo bene senza rintanarci nei nostri bisogni individualisti, serve un equilibrio tra il bisogno per se e il donarsi all’altro, senza mai sbilanciarsi troppo. L’amicizia coniugale condivide la vita e per questo è la più alta forma di Amore, un amore chiamato a coltivare sogni insieme, sentendosi sempre con le valigie pronte essendo attenti alle esigenze e ai bisogni dei fratelli e delle comunità dove viviamo”.
Il secondo aspetto della riflessione ha toccato invece il tema del “tempo del lavoro” a partire dal libro della Genesi. L’immagine di Dio è l’insieme dell’uomo e della donna, il Dio Trinitario si manifesta infatti nella relazione. Il Concilio Vaticani II° ci ricorda che il lavoro dell’uomo è il proseguo dell’azione creatrice di Dio, il lavoro ha dunque come scopo ultimo il continuare la creazione. Tale azione non esente dal peccato che è sfruttamento e oppressione. Il peccato crea nel mondo del lavoro oppressione soprattutto nelle categorie più fragili, il lavoro deve diventare un modo di esprimere le nostre capacità e i nostri doni e non solo una modalità di sostentamento materiale, serve un equilibrio in questa ricerca di sostentamento e realizzazione personale.
Il lavoro non è solo quello fuori di casa, bisogna riconoscere che il lavoro domestico è ugualmente importante e non può gravare solo su una persona. Ricordiamoci anche che al centro della vita c’è il sabato, il lavoro è finalizzato alla festa e non a se stesso, il sabato dona senso alla vita e al lavoro. Facciamo dunque scelte coerenti in questo senso, pur mantenendo l’equilibrio tra la sussistenza e la vita.
Gli esercizi si sono conclusi con la celebrazione eucaristica presieduta dal vicario generale don Marco Presciutti che nell’omelia ha ricordato come Gesù è il dono più grande, la fede è qualcosa di comunitario di ecclesiale, la si vive nella fraternità e in essa riconosciamo la presenza di Dio.
Non si cammina da soli, anche l’avventura del matrimonio non si vive da soli c’è bisogno di amici con cui condividere le responsabilità. Serve tuttavia un rapporto personalissimo con Gesù, Tommaso nel brano di Vangelo crede solo dopo aver sperimentato, verificato la presenza di Gesù risorto, questo vale anche per noi, abbiamo bisogno di sperimentare la presenza di Dio, nostro Signore e nostro Dio. L’amore di coppia non sopprime l’unicità di ciascuno, la fede ci unisce ma non ci chiude, non cadiamo nella tentazione di chiuderci anche dopo la resurrezione. “State insieme ascoltando la Parola e condividendo tutto perché nessuno sia povero – ha detto don Marco alle famiglie – esistiamo affinché tutti possano sperimentare la fede, la presenza di Dio, facciamo correre la misericordia verso la missione rigenerandoci sempre”. Ritroviamo il giorno del Signore, spesso per un niente si lascia la messa eppure è il momento più importante perché se c’è Dio in noi il tempo si allarga e diventa eternità, ritroviamo il gusto del giorno del Signore!
Marco Gasparini