Don Matteo: “A Fano quando si diventa giovani?”

Il futuro invisibile, il venire meno della sua forza è la prima origine del disagio giovanile vero e proprio: senza la luce del futuro, l’energia giovane si disperde; senza lo schermo del futuro, l’energia che uno ha dentro non trova modo di esprimersi e spesso si dissolve.
In questo modo costringiamo i nostri giovani – le nostre cellule staminali – ad arrangiarsi nel presente (e che presente!) e a stare all’infinito in panchina. Da qui nasce infine una forte inquietudine, un disagio, un senso di notte, un’altra forma di invisibilità. Una ferita che ha ricadute su ogni aspetto della vita, anche per quel che riguarda l’esperienza religiosa. Basti qui citare lo spropositato aumento di casi di depressione tra i giovani, che si unisce ai già noti dati circa il costante aumento di consumo di alcol, di fumo, di droga. Non c’è bisogno di citare teologi come Tommaso, per ricordarsi che lì dove l’umano patisce ritardi e ferite al suo pieno fiorire, il cristiano non ha molte possibilità di successo. Senza infatti una fiducia elementare nella vita e nelle sue possibilità, è difficile che ci sia qualcosa come la fede cristiana.
Eppure questa è una ferita invisibile per molti adulti. A loro avviso i giovani non avrebbero nulla di cui lamentarsi: sono più sani, più nutriti, più dotati economicamente, addirittura più alti dei loro coetanei del passato. Più belli. Che c’è dunque che non va? Di più: i maschi non hanno ora l’obbligo della leva, e le ragazze quello di un fidanzato. Frequentano un’università meno severa, hanno tempo libero a iosa e nessuno impone loro tabù circa il sesso. I genitori si presentano come amici, addirittura complici, non alzano la voce né le mani. La stessa Chiesa non fa più la solita morale sessuale e, la domenica, ci sono messe ad ogni ora.
Questo basta per mettere l’anima degli adulti a posto. Ma che cosa c’è al fondo di questa feroce distrazione? Che cosa potrebbe rendere ragione di una tale cecità degli adulti, della loro sempre crescente difficoltà di rendersi conto delle conseguenze che un certo modo di distribuire iniquamente le risorse e l’accesso a prerogative inizia ad avere sulle fasce più giovani? Insomma: come ci sono diventati invisibili i nostri giovani?
La spiegazione di tale stato di cose è data all’avvento, nel corso degli ultimi decenni, di una vera e propria rivoluzione copernicana, dovuta in parte all’allungamento dell’età media: se appunto sino ad anni recenti era lo stato di adulto ad essere al centro dell’immaginario collettivo, quale condizione desiderabile di autonomia, di libertà d’azione, di disponibilità di denaro e di prestigio sociale, oggi al centro dei desideri della società occidentale troviamo il culto della giovinezza, l’esaltazione della giovinezza, divenuta ormai la vera macchina di felicità di ogni adulto nato dopo il 1946. Se riesci a restare giovane, hai diritto alla felicità. E qui non parliamo di giovinezza dello spirito, ma di vera e propria ansia di mostrarsi in tutto e per tutto giovani nella concretezza del proprio corpo (pensate al terrore dei capelli bianchi).
Ne viene fuori una sorta di maledizione dell’età adulta e della vecchiaia: su di esse vige una tacita scomunica/maledizione collettiva (chiedetevi per esempio: “quando si diventa vecchi a Fano?”). La cosa ha ovviamente numerose ricadute.